Addis Abeba vuol diventare Dubai – il Venerdì di Repubblica 4/2021

Le vestigia possono divenire terreno di scontro anche in una città giovane come Addis Abeba. Se i feroci manifestanti oromo degli ultimi anni hanno provato più volte ad abbattere la statua dell’imperatore amhara Menelik II – fondatore alla fine del diciannovesimo secolo della capitale etiope – nella disputa attorno alla genesi di Addis sono finiti di recente anche i decadenti palazzi di alcuni Ras del Negus, il “re dei re”, Haile Selassie. Secondo molti abebini, le residenze storiche degli antichi governanti amhara verrebbero abbattute una dopo l’altra per cancellare le origini della città e lasciare che il suo territorio indipendente venga assorbito nell’amministrazione dell’Oromia, la vasta regione che circonda la capitale.

Al di là della pericolosa retorica che in tutta Etiopia alimenta le tensioni interetniche, moltiplicando l’instabilità dovuta alla guerra civile in corso nella regione settentrionale del Tigrai, la distruzione del patrimonio storico di Addis risponde alle logiche tipiche della speculazione immobiliare. Secondo la Global Real Estate “Knight Frank”, la capitale etiope è tra le prime 4 città al mondo per le opportunità di creare ricchezza nel prossimo futuro. Così i palazzinari globali, soprattutto emiratini e cinesi, stanno trasformando la “città foresta” dei tempi di Menelik II in una moderna giungla di cemento. Nel quartiere di La Gare, zona popolare cresciuta attorno alla vecchia stazione ferroviaria voluta oltre un secolo fa dai colonizzatori francesi, l’emiratina Eagle Hills sta rivoluzionando un’area di 36 ettari su cui ha piantato una distesa di centri commerciali, hotel a 5 stelle e migliaia di appartamenti e uffici di lusso. Il progetto di “rigenerazione” del quartiere, che promette un investimento complessivo di 1,8miliardi di dollari, non ha precedenti nella storia etiope. Ma è subito stato superato per imponenza da quello dei rivali della China Communications Construction Company (Cccc), che hanno avviato un piano analogo nella zona di Gotera, su cui si dicono pronti a investire oltre 3miliardi di dollari. La Cccc ha dato inizio anche ai lavori del progetto Beautyfing Sheger, una visione futuristica sponsorizzata dal premier Abiy Ahmed, che vorrebbe bonificare le discariche maleodoranti a cui sono ridotti i corsi d’acqua della capitale per realizzare lungo le sponde una serie di parchi pubblici corredati da piste ciclabili e terrazze-ristoranti.

Più che il patrimonio architettonico – secondo l’agenzia municipale per Cultura e Turismo ne è già stato demolito circa il 10% – a fare le spese del rinnovamento di Addis è soprattutto il tessuto sociale della città, che grazie a uno straordinario intreccio di economia informale e relazioni di gorabet (vicinato) aveva assicurato a lungo la coesistenza pacifica in un contesto di crescenti disuguaglianze economiche. Secondo l’agenzia governativa River Basins & Green Areas oltre 10mila persone dovranno essere rilocate soltanto per Beautyfing Sheger. Gli abitanti di Ras Mekkonen bridge, a esempio, hanno già ricevuto notifica della demolizione delle proprie case.

Gli sbaraccati sono invitati a trasferirsi nelle sterminate file di condomini popolari costruiti dal governo nell’estrema periferia della città. A esempio quelli di Koye Feche, il più imponente progetto abitativo dell’Africa sub-sahariana: costruito a 25 km dal centro di Addis, prevede di ospitare oltre 200mila persone. Molti però non possono permettersi l’anticipo necessario ad accedere al programma di mutui offerti dal governo e finiscono col perdere quel poco che possedevano. Così, mentre la popolazione di Addis dovrebbe raggiungere gli 8milioni entro il 2025 per effetto soprattutto delle migrazioni interne, quella che era considerata tra le capitali più sicure del mondo – nel 2015, il Crime Index della Nazioni Unite la posizionava meglio di ogni città italiana, mentre l’Etiopia era al 15esimo posto della classifica per Paesi, ex isola di pace tra le acque burrascose del Corno d’Africa – rischia di rimanere solo un ricordo.

In un’intervista rilasciata al Financial Times subito dopo aver ricevuto il premio Nobel per la Pace, Abiy sosteneva: “Se riesci a cambiare Addis Abeba, puoi cambiare l’Etiopia”. Era ottobre 2019 e nella capitale veniva finalmente aperto al pubblico il palazzo imperiale di Menelik II. Residenza di ogni successivo governante etiope, Abiy l’ha invece trasformato nello Unity Park, “un progetto emblema della nuova leadership etiope che promette di rendere pubblico ciò che era segreto e democratico ciò che era autoritario”, spiegava il Washington Post. I progetti odierni vanno nella direzione opposta, decisi e gestiti senza alcun riguardo per le autorità e il piano strutturale della città. A La Gare, per esempio, invece dei grattacieli emiratini era prevista la stazione centrale dei nuovi bus rapidi destinati alla working-class rilocata in estrema periferia. “Al di là della retorica – spiega Biruk Terrefe, ricercatore a Oxford, esperto della trasformazione di Addis – Abiy usa le opere urbanistiche per magnificare il proprio potere, come ha fatto ogni precedente regime in Etiopia. Se Meskel Square è l’icona del Derg e delle sue parate militari, i lussuosi real-estate sono l’emblema scelto da Abiy, che ha sposato il modello degli Emirati di Dubai o Abu Dhabi”.