Sul litio Morales vuole cambiare marcia – nuova ecologia 9/2019

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La Bolivia, uno dei Paesi più poveri del mondo, potrebbe diventare presto una nuova Arabia Saudita. Nel sottosuolo boliviano si concentrano infatti i più ricchi giacimenti mondiali di litio, il minerale destinato a giocare un ruolo equivalente a quello del petrolio nel prossimo futuro dell’industria automobilistica. Componente essenziale delle batterie che alimentano le auto elettriche (oltre a computer, telefoni cellulari e tanti altri apparecchi elettronici), il litio vanta un mercato in pieno fermento: nel 2017 ne venivano commercializzate circa 220mila tonnellate, una quantità 3 volte superiore a quella di inizio millennio, destinata a crescere a un ritmo ancor più elevato. Ogni volta che la vendita di auto elettriche strappa un punto percentuale a quella dei veicoli convenzionali, la domanda di litio cresce infatti di 70mila tonnellate all’anno. E tutte le principali case automobilistiche mondiali prevedono incrementi di produzione di veicoli elettrici, con percentuali che in appena qualche anno dovrebbero arrivare, a esempio, al 25% del parco auto di Bmw, Ford, Volkswagen e Daimler e al 100% di quello di Honda e Volvo. Alcuni Paesi, come Francia e Regno Unito, hanno inoltre annunciato che nel giro di pochi lustri vieteranno la circolazione di automobili a benzina o diesel sul proprio territorio. Soltanto sul mercato cinese, dove nei prossimi anni si prevede verranno messi su strada 4,5 milioni di veicoli elettrici, nel 2025 la domanda di litio dovrebbe raggiungere le 800mila tonnellate all’anno.

Nel Salar de Uyuni – un meraviglioso deserto di sale nella Bolivia meridionale, che si estende su oltre 10mila chilometri quadrati di altipiano andino, a 3650 metri di quota – si concentra circa un quinto delle riserve mondiali di litio. Ma il problema dei boliviani rimane come approfittare di questa enorme quantità di “oro bianco”. Il governo di Evo Morales – in carica dal 2006, è il primo indigeno a ricoprire il ruolo di presidente – non vuole ripetere gli errori dei suoi predecessori, che hanno sprecato tante altre risorse nazionali (argento, stagno, gas e così via) arricchendo soltanto le compagnie straniere che le hanno estratte. Stavolta i boliviani vogliono essere protagonisti dell’industrializzazione del prezioso minerale, mantenere in patria il suo valore aggiunto. Evo sogna di poter guidare un’auto elettrica prodotta in Bolivia. Ma già riuscire a produrre su scala industriale le batterie sarebbe un enorme successo.

Avviato alla fine del 2008, il progetto del governo Morales ha prodotto finora risultati che però lasciano molto a desiderare. A Llipi, 15 chilometri dal sito di estrazione nel Salar de Uyuni, nel 2013 è entrata in funzione una piccola impresa a gestione statale (250 impiegati), che ha come obiettivo la produzione di 15mila tonnellate di litio all’anno. Oggi, nonostante i massici investimenti pubblici, ne produce appena 250. Un quinto viene impiegato in una fabbrica pilota di batterie realizzata a Potosì – cittadina mineraria 300 chilometri a nord-est del Salar, famosa per il suo Cerro Rico, la montagna simbolo del lungo dissanguamento imposto dai colonizzatori europei quando “le vene aperte” erano quello dell’argento e dello stagno.

Per aver un termine di paragone, si possono considerare i casi del Cile e dell’Argentina, gli altri due Paesi che formano il “triangolo dell’oro bianco”, l’area in cui si concentrano tre quarti delle riserve mondiali. In entrambi i casi l’estrazione è stata affidata a imprese private. Il Cile produce litio già dagli anni Ottanta e oggi, attraverso la statunitense Albemarle e la Sqm del miliardario cileno Julio Ponce Lerou, vende circa 70mila tonnellate all’anno, coprendo quasi un terzo del mercato globale. L’Argentina, che ha cominciato a fine anni Novanta e dove operano la Sales de Jujuy (91,5% di proprietà straniera: l’australiana Orocobre e la giapponese Toyota) e la Exar (91,5% di proprietà straniera: la canadese Lithium America e la cilena Sqm), vende oltre 30mila tonnellate, destinate ad aumentare grazie agli incentivi fiscali offerti dal governo Macri alle imprese straniere.

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Consapevole degli enormi investimenti e dell’alta tecnologia necessari ad avviare su scala industriale l’estrazione e la trasformazione dei giacimenti di litio, il governo boliviano si è orientato verso la costituzione di imprese miste a controllo statale. Ma trovare partner disposti ad accettare le condizioni di Morales – famoso per aver nazionalizzato il gas e molti altri settori chiave dell’economia – non è stata un’impresa facile. Dopo una lunga serie di fallimenti, a dicembre 2018 la compagnia statale Yacimentos de Litio Boliviano (Ylb) ha finalmente firmato un accordo con i tedeschi di Aci Systems, che in cambio del 49% della nuova compagnia mista si sono impegnati a investire 1300milioni di dollari e a installare impianti industriali per la produzione di batterie di litio nel Salar de Uyuni. Un accordo simile è stato poi raggiunto lo scorso febbraio con il gruppo cinese Tbea: la nuova compagnia, controllata al 51% da Ylb, industrializzerà i giacimenti di litio dei Salar di Coipasa e Pastos Grandes (un progetto da 2300milioni di dollari, in cui i cinesi provvederanno agli investimenti iniziali).

Perché il litio sia adatto alla produzione di batterie, occorre separare il minerale estratto dai cloruri di sodio, potassio e magnesio. L’eliminazione di quest’ultimo contaminante è particolarmente costosa – soprattutto in Bolivia, dove i depositi di litio contengono concentrazioni più elevate di magnesio (nel Salar di Uyuni è di 21 a 1, contro quella di 5 a 1 dei giacimenti cileni di Atacama) – e rischia di aver un forte impatto ambientale. L’utilizzo di calce è il metodo più comune per separare litio e magnesio e il governo boliviano sostiene che verrà utilizzata una tecnica che riduce gli scarti contaminanti. Ma al momento è difficile calcolare quale sarà l’impatto sul Salar de Uyuni. Tra gli altri rischi concreti c’è un’enorme consumo di acqua e i due fiumiciattoli che attraversano il Salar sono fondamentali per alimentare la produzione locale di quinoa, di cui la Bolivia è il secondo produttore mondiale dopo il Perù.

Oggi il Salar de Uyuni, con le sue lagune colorate e gli stormi di fenicotteri rosa che le popolano, rappresenta inoltre una delle principali attrattive turistiche della Bolivia. L’immensa distesa di sale disegna un reticolo di forme esagonali, che sfumano all’orizzonte nelle vette andine che la circondano. Un luogo celebre per il suo silenzio incantato, interrotto soltanto dalle sobrie attività dei saleros locali e dai fuoristrada che lo attraversano carichi di turisti all’avventura. Pian piano a Colchani, un villaggio che sorge sul confine orientale del Salar, sono nati hotel costruiti con mattoni di sale, che ospitano corsi di yoga e meditazione. Una realtà che l’industria del litio rischia di cancellare per sempre.