La finestra di Santa Marta

la favela di Santa Marta (in basso a sinistra) fotografata dal CorcovadoLa prima occasione di andare a Rio de Janeiro mi è capitata nell’ottobre del 2004. Ero con l’Abuelo a Corumbà -al confine tra Bolivia e Brasile- e il nostro sogno di raggiungere Assuncion discendendo il rio Paraguay si era appena infranto contro i musi duri dei capitani di fregata locali. Costretti a ripiegare sul trasporto terrestre, attendevamo da mezza giornata un autobus per Campo Grande, da cui avremmo proseguito fino alla capitale del Paraguay. Di colpo, nella minuscola stazione di frontiera apparve un’astronave: un bus di ultima generazione, nuovo fiammante, con la scritta luminosa “Rio de Janeiro” che scorreva sul muso. Provai a convincere il Compadre che il segno era chiaro: non ci rimaneva che cambiar piani di viaggio e salire a bordo dell’astronave. Ma il cuore dell’Abuelo batteva troppo forte perché la sua mente potesse averne ragione: da lì a qualche giorno la sua donna sarebbe atterrata a Santiago del Cile e spingendosi fino a Rio lui rischiava di mancare il loro appuntamento. Mentre lanciavo lo zaino nel ventre di una carcassa diretta a Campo Grande, promisi a me stesso che l’appuntamento con la “città meravigliosa” era solo rimandato.

Due anni più tardi ero finalmente pronto a mantenere la promessa fatta quel giorno. Ma il Destino decise di sottopormi a un’ultima prova. Il direttore dell’agenzia Redattore Sociale, per cui avevo appena portato a termine una piacevole e ben pagata “ricognizione di stazioni impresenziate”, mi offrì un lavoro da giornalista praticante. Un’occasione che il buon senso comune invitava a non rifiutare. Dopo settimane di silenzio, risposi così:

Caro Stefano,
visto dalla spiaggia di Rio Claro -il luogo magico dove mi sono ritirato a scrivere delle nostre stazioni- il sole tramonta sempre più vicino al Monte di Giove. Segno che l’autunno è alle porte. E io non ti ho ancora dato una risposta. Dopo la nostra ultima chiacchierata telefonica, la mia incertezza -fatta di ragionamenti mozzicati e dichiarazioni balbettate- ti dovrebbe essere già chiara. Mi offri un lavoro, un’esperienza professionale e delle responsabilità di cui sono lusingato. Ma questa impresa non riesco proprio a togliermela dalla testa. Il Brasile è una sirena che viene a trovarmi in sogno e m’invita alla danza, ammiccando la promessa maliziosa di regalarsi ai miei sensi e alla mia penna.
Non c’è una scelta giusta. O se c’è, io probabilmente ho fatto quella sbagliata. Ma ho paura che la fortuna, fedele compagna di viaggio, mi lascerebbe irrimediabilmente solo se smettessi di correre dietro ai sogni.
Ti abbraccio, Adriano

Un mese più tardi atterravo finalmente nella “Cidade maravilhosa”, dove a fare gli onori di casa avrei trovato Grace..
Quelle che ripropongo di seguito sono alcune delle lettere che scrissi allora (dicembre 2006 – gennaio 2007) agli amici più cari. Le foto invece appartengono alla visita successiva (dicembre 2011 – gennaio 2012), durante cui ho vissuto accanto alla favela “dos prazeres”.
A questi link invece gli articoli scritti per il manifesto e Altreconomia nel corso di quelle esperienze:

Una città senza cittadini, Altreconomia, maggio 2012

Minaccia olimpica sulle favelas di Rio, Altreconomia, febbraio 2010

La Rocinha va alla guerra, il manifesto, gennaio 2007

Narcos contro paramilitari, il manifesto, gennaio 2007

Praça Cantao nel centro di Santa Marta1.
“A meno che non tu non voglia dormire nella stazione della metropolitana difficilmente riuscirai a trovare una sistemazione più economica”. Grace non ha nessuna intenzione di trattare sul prezzo. Neanche dopo avermi chiamato 3 volte a carico del destinatario. Neanche dopo essersi lasciata aspettare 2 ore sotto il sole cocente davanti a un condominio di lusso, per poi spiegarmi che il cuarto (la stanza) in affitto si trova in realtà nella favela di Santa Marta.

Grace -“come Grace Kelly!” dice lei- è un incrocio tra una zingara e una tossicomane. Racconta di essere un’antiquaria -“purtroppo al momento il mercato è fermo..”- ma vive affittando 3 stanze del suo appartamento ai piedi della favela. Ha già passato la cinquantina, conservando però la vivacità e gli appetiti di una ragazzina. Casa sua ospita alcuni personaggi che meriterebbero le pagine d’un libro (chissà che prima o poi la mia fame di vivere non lasci un po’ di spazio all’isolamento necessario a scrivere di loro). Manuel, Paulinho e Rama hanno passato tutti la quarantina e, a eccezione di quest’ultimo, hanno figli sparsi per mezzo Brasile. Con i miei trent’anni appena compiuti vengo subito ribattezzato “il piccolo di casa”.

La prima serata in compagnia se va confusa e spedita. Con la scusa di fare una copia della chiavi dell’appartamento, Grace mi accompagna a fare la spesa. Dallo sguardo attento con cui segue i miei acquisti ho l’impressione che voglia cominciare a capire chi sono da quanto infilo nel carrello. Quando carico una cassa di Bohemia weiss, mi regala un gran sorriso. Tornati a casa l’aria è già pregna del fumo dei baseados. Paulinho non smette di rollar canne in cui mescola maconha (erba) e hashish. Rama è stramazzato da un pezzo sulla poltrona abbracciato alla sua chitarra. Quando accetto la prima profumata, Grace spalanca il suo secondo sorriso sincero. Poi si fa più vicina e mi chiede se per caso non amo anche la coca.. le risposto di no e lei sospira un “gracias a Deus!” accompagnato da un rapido segno della croce. Appena 5 minuti dopo che ho abbandonato il salotto per andare a dormire, lei e Manuel cominciano a darci dentro. Il rombo delle loro narici aspirapolvere si sente fin dalla mia stanza.

Santa MartaPaulinho mi spiega che nella favela si vive con porte e finestre aperte. Qui nessuno ruba niente. Il territorio è sotto il controllo di una banda di narcotrafficanti che non vogliono grane in grado d’intralciare gli affari. L’amministrazione di violenza e giustizia è una loro esclusiva. Chi subisce un torto deve rivolgersi ai narcos. Gli errori si pagano cari. Un furto equivale a un pestaggio a sangue. La violenza sessuale costa la vita. Regole semplici e brutali, che assicurano il regolare flusso di un business milionario e senza sosta. Oltre ai nasi rombanti e ai deliri dei miei coinquilini, il sottofondo del mia prima notte a Santa Marta è una festa che va avanti per le strade fino alle prime luci del giorno.

I ritmi di vita e le tipiche paranoie che accompagnano una tossicodipendenza da cocaina, rendono alcuni dei miei coinquilini piuttosto spaventosi. Ma in fondo non mi sento in pericolo. Ho l’impressione che starà a me gestire bene la situazione, marcare i confini della mia intimità senza perdere l’opportunità di conoscere questa faccia di Rio de Janeiro. Manuel, che è nato a Santa Marta, si è già offerto di guidarmi alla scoperta della favela. Da 2 anni si era trasferito nella zona Nord, dove ha costruito una casa per la sua famiglia. Ma qualche mese fa l’ex moglie gli ha dato un calcio nel sedere e Manuel è finito a dormire sul pavimento del salotto di Grace. Non lavora ma mi ha dato il suo biglietto da visita: “tuttofare”. Ho il sospetto che ripaghi l’ospitalità alimentando i vizi della padrona di casa. Rama invece non c’è quasi mai, sempre in giro per concerti. Stamattina l’ho incrociato sulle scale del palazzo che se andava a suonare una settimana a Bahia. Quello con cui mi sento più a mio agio è Paulinho. La figlia e l’ex compagna vivono a San Paolo, sua città natale, ma lui si è trasferito a Rio da una decina d’anni “a cantare il rock’n roll”.

la scaletta per la boca di Santa Marta2.
Sono le 2 del mattino e nascosti dietro un furgoncino tutto scassato 3 ragazzi fumano crack sotto la mia finestra. Io e Paulinho affacciati al balcone li osserviamo passandoci un baseado. Sono passati appena 10 minuti da quando abbiamo risalito i 331 passi che separano il portone di casa dalla boca della favela di Santa Marta. Lì 2 ragazzini armati fino ai denti hanno estratto le nostre occorrenze dal loro vasto campionario. Paulinho ha 46 anni ma sembra ancora un ragazzo. La prima cosa che mi ha insegnato è non fare troppe domande. Mi sono già affezionato alle nostre chiacchierate e alla sua generosità, sempre disposto a spiegarmi le dinamiche disegnate sopra la tela di violenza in cui è inzuppato il nostro vicinato.

Grazie all’acquazzone del pomeriggio, la notte è più fresca del solito. Io ho la pancia piena e l’allegria sudata delle 3 birre con cui ho accompagnato un’abbuffata di sushi e sashimi. Ero a cena nel ristorante giapponese dove lavora Mauro, un nordestino che vive a Rosinha, la favela più grande e chic della città. Lo conosco appena ma mi ha già invitato a visitare la sua casa e a conoscere la sua famiglia. Continuo a ignorare la sorgente segreta di tanta ospitalità.

Rio de Janeiro non lascia spazio alla nostalgia. Evaporate le bollicine del benvenuto, la città non cede il passo di fronte alla mia irriducibile curiosità. Il traffico e i 35 gradi che sembrano volere sciogliere l’asfalto, l’isteria del Natale e la stanchezza accumulata a causa delle poche ore di sonno che mi concede il trambusto della favela, si eclissano dietro le cascate di vitalità che allagano le strade. C’è sempre qualcosa di nuovo da provare, la noia pare incapace di mettere radici su questa terra. Soprattutto c’è la musica soffiata da ogni angolo, le cui parole stanno scritte negli sguardi maliziosi e nei sorrisi invitanti della gente. Il samba che affolla i vicoli di Lapa e una quantità di concerti da rimanere svegli tutte le notti. Tra le cose più belle che ho visto finora, Caetano Veloso al Circo Voador, Chico Buarque al Caneicao e l’ensaio (prova) di Carnevale della Mangueira. Skizzi elettrici dritti nelle vene in grado di tarantolare anche un ballerino maldestro come il sottoscritto.

la nuova teleferica che collega la parte alta di Santa Marta con la base della favela3.
È la luce dell’ultimo giorno dell’anno a rua Marechal Francisco de Moura, la via dove abito ormai da quasi 2 mesi. Una pioggerella sottile e incostante tiene bassa la temperatura della “città meravigliosa”. Nell’aria si respira la quiete prima della tempesta. L’onda generale ha il caricatore infilato nella presa. Accanto al solito e immobile furgoncino, pezzo d’antiquariato nell’atrio della comunità, un negro che pare già stanco aggiusta pacchi di lattine di birra prima di caricarseli sulle spalle e prendere la via della città. In senso opposto, mamme rassicuranti risalgono la favela a passi lenti, i corpi addobbati con le minuscole bustine della spesa che rifila il gigante ipermercato Sendas.

I meno pazienti già s’imbarcano in sandali e costume da bagno verso le spiagge. Andature molleggiate, blande, di riscaldamento e d’attesa. I più rapidi tra loro accompagnano il tremolio di biciclette fatiscenti senza pedalare. Poche ore ancora e sulla spiaggia di Copacabana ci saranno più di 2 milioni di persone. Revellion.. parola che incute rispetto. Una scrollata che non lascerà appiccicato neanche un granello della vecchia polvere. Aspettando la mezzanotte, i carioca elegantissimi nei loro completi bianchi tireranno fiori colorati nell’Atlantico per il loro Iemanjá. Poi dalla spiaggia e dal mare comincerà il concerto senza pari dei fuochi d’artificio.

la sede dell'Upp in cima alla favela di Santa Marta4.
L’anno nuovo è cominciato con un doppio trasloco. Nella mia vecchia stanza è tornato da Manaus l’affittuario titolare, il misterioso signor Costantino, mentre io mi sono trasferito nel cuarto di Paulinho, che passerà le vacanze con la figlia a San Paolo e poi andrà a vivere in un monolocale a Copacabana. Gli ho dato una mano a spostare la sua roba. Adescato a tradimento su rua Sao Clemente, il tassista ci aspettava sotto casa nervoso. Con un occhio controllava i ragazzini che avevano accerchiato la sua macchina, con l’altro soppesava il carico che si moltiplicava a ogni nostro nuovo viaggio sprofondando gli ammortizzatori dell’auto. Casa di Grace perde il suo elemento migliore.. Tornerà di tanto in tanto, scavalcando il piantone dei poliziotti che fa da filtro alla favela per comprare un pezzo del suo profumo preferito. Io ho promesso di andarlo a trovare nel suo nuovo conjugado di Copa. Dal davanzale della finestra che ho ereditato vedo il Morro de Sao Joao e quello da Babilonia nascosti dietro una tendina di fiori rossi che scende dal più bel albero di tutta la città. Come regalo di arrivederci, Paulinho mi ha lasciato il suo pao brasileiro bonsai e un sacco di storie che prima o poi verranno fuori..

nella favela di Pavao5.
Sono state feste bagnate, qui l’estate è stagione di pioggia. A braccetto con le nuvole però è arrivato un piacevole freschetto. La notte posso fare a meno del ventilatore, irriducibile tormenta dell’aria e del sonno. Ma per regalarmi il lusso di lasciare i tappi per le orecchie nella loro tana di cartone, devo aspettare che in piazzetta sotto la boca facciano rifiatare le casse. Succederà mai?

Tornato a Rio il giorno prima del Revellion, ho approfittato di un timido sole per andare a sdraiarmi a Itacoatiara, la più bella spiaggia della città. In cima al Costao, una semisfera di pietra alta 400 metri caduta s’un fianco della lingua di sabbia bianca, pensavo alla faccia che deve aver fatto il primo europeo arrivato davanti a questo tratto di costa. Sono rimasto a galleggiare là sopra almeno un paio d’ore, incapace di sottrarmi a tanta bellezza. I ragazzini delle favelas di Niteroi si sfidavano lanciandosi a tutta birra lungo il dorso del Costao fino ad abbandonarsi all’Oceano con un tuffo straordinario. Un’impresa costata la pelle già a molti di loro.

nella sede di Observatorio de favelas6.
Mentre io passavo il Natale nel silenzio verde del Minas Gerais, a Rio de Janeiro è scoppiato il panico. Mezza città, compreso il mio quartiere Botafogo, è stata messa a ferro e fuoco. Decine di macchine della polizia prese a colpi di granata e raffiche di mitra, omnibus dati alle fiamme, tanti poveracci finiti contro il lampo d’una bala perdida. È la reazione dei maggiori cartelli del narcotraffico all’avanzata delle milicias. Negli ultimi anni infatti moltissime favelas sono state “liberate” da gruppi paramilitari formati da poliziotti, pompieri, agenti di sicurezza, alcuni di loro ancora in regolare servizio. Con la scusa di eliminare il traffico di droga, prendono il controllo del territorio e passano a imporre il pizzo sulla vita economica della favela. Dalle periferie, dove controllano già 92 favelas, hanno cominciato a puntare territori più centrali e importanti come quello della Cidade de Deus o di Mangueira. Un affronto intollerabile per i narco-clan locali. Il giorno di Natale in una casa della Mangueira i capo-clan si sono incontrati e hanno deciso di unirsi -evento senza precedenti nella storia degli ultimi anni- per dare un segnale forte a chi cerca di rilevarne gli uffici.

L’equilibrio di Rio de Janeiro si regge su una bestemmia. Sui morros dei quartieri nobili, dove l’aria è più fresca e il panorama mozzafiato, non ci sono le villette della classe alta carioca. Artigliata alla roccia, un’accozzaglia di spelonche ospita alcune delle comunità più povere e marginali. I diseredati della “Cidade maravilhosa” vivono nel cuore della Rio ricca e dalle loro finestre guardano la città dall’alto in basso.

nel Complexo da Maré7.
A Folha de S.Paulo scrive che è il 9 di gennaio, terça feira. In casa, a farmi luce mentre sciacquo il solito bicchiere, c’è ancora l’intermittenza colorata dell’albero di Natale. Prima che Grace si decida a metterlo via sarà arrivato Carnevale. Mentre le dita rimbalzano sulla tastiera del portatile, fuori dalla finestra sta diluviando. Il nuovo anno è cominciato sotto la pioggia proprio come era finito il vecchio. Secondo gli esperti si tratta di un nuovo record di precipitazioni. Frane e allagamenti hanno fatto un sacco di morti tra gli abitanti dei morros.

Ho passato la giornata nel Complexo da Maré, zona Nord. Aggrappate alla costa di fronte alla Cidade universitaria (Ilha do Governador), 130mila formiche entrano ed escono dai vicoli di 16 favelas. Ero in compagnia dei coordinatori di “Observatorio de favelas”, una ong che lavora nelle comunità marginali di buona parte della città. Mi hanno spiegato che Maré è un posto speciale. L’unico complesso di favelas dove convivono, concedendosi tregue sporadiche, i 3 narco-clan della città: Terçero Comando, Comando Vermelho e Amigos dos Amigos. Da un paio di mesi inoltre 3 favelas sono state invase dalle milicias. Insomma nel presepe di Maré gli animali ci sono tutti. Giuseppe invece ordina stragi dalla sua cella di un carcere di minima sicurezza. Quanto alla madonna e a gesù bambino pare che da queste parti non si siano mai fatti vedere. La stella cometa è una bala perdida.

Vista attraverso un finestrino del bus 324, mentre attraverso la terrificante Avenida Brasil di ritorno da Maré, la distesa di cemento della zona Nord sembra estendersi all’infinito. L’altra Rio de Janeiro, quella fuori da guide e mappe. Una delle scene descritte da quelli dell’Observatorio m’è rimasta tatuata nel cervello. Per le operazioni di rastrellamento il corpo speciale della Polizia Militare -il Bope- entra nella favela con il “Caveirao”, una specie di carroarmato. Risalendo lentamente le stradine tra le baracche, le forze dell’ordine (!) annunciano con un altoparlante l’arrivo della “máquina de matar moradores”, la macchina ammazza abitanti.

il muro che nasconde il Complexo da Maré a chi percorre la Transcarioca

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